Il coraggio di emozionarsi

Come la diversità ci trasforma in persone libere e responsabili

‘L’inconfondibile tristezza della torta al limone’ (Aimee Bender)

 

 Com’è possibile che il gusto, delicato, di una torta al limone si trasformi in una sensazione di vuoto e di solitudine? Ma cosa ancor più inquietante, com’è possibile che quella stessa sensazione, appartenga a qualcun altro?

Rose al compimento dei suoi nove anni, scopre di possedere un “dono”: quello di sentire, nel cibo, il sapore dei sentimenti di chi lo prepara.

Così, le ricette elaborate da sua madre, hanno, per la ragazza, un retrogusto di infelicita’, mentre nei biscotti del fornaio sente la sua rabbia inespressa.
Così Rose si immedesima prematuramente, con la sofferenza, la solitudine, il dolore dell’altro.

Un dolore intenso dal quale tenta, invano di scappare.  Arrivando persino a chiedere a sua madre di farsi “strappare la bocca.”
Nulla di tutto questo accadrà.

Anzi, imparerà a nascondere anche a se stessa questa sua attitudine così sofferta e bizzarra; sentendosi sempre più incompresa e sola.

La ragazza sprofonda, quindi, in un limbo di incertezze.

I punti di riferimento familiari diventano sempre più confusi. Ancor più quando scopre, attraverso questa sua capacità, che ogni membro della sua famiglia nasconde un segreto.

Si, nessuno è come appare.

I sorrisi di sua madre celano una richiesta d’aiuto.

Il padre, percepito da Rose  come un ospite, per le sue abitudini rassicuranti ed allo stesso tempo inconsistenti, un giorno le rivelerà il suo “dono”.

Un dono che ha vissuto sempre come un’esperienza di estraneità e diversità dagli altri.

Un dono di cui non si è mai voluto far carico.

Ed infine, il fratello Joseph: figura inquietante e schiva.  Che nelle sue “sparizioni”, tenterà, invano, di dare un senso alla sua esistenza.

“Nei film, un amore illecito viene spesso denotato da scene in cui si spia in una camera di motel, o da segni di un rossetto lasciati su un colletto bianco. Avevo dodici anni quando mi sedetti a cena con la mia famiglia per mangiare roast beef con patate, una fredda sera di febbraio, e percepii una tale sferzata di senso di colpa mista a una storia d’amore nel mio primo boccone che capii, all’istante, che lei aveva conosciuto qualcun altro.”         

 Cosa rappresenta il cibo per Rose?

Il cibo è lo strumento per sentire, riconoscere, accedere e distanziarsi dall’incontro con l’altro.

 Un’ esperienza che non può esimerla dal soffrire e patire un mondo che, all’improvviso, le si manifesta in modo straziante, rimandandole riflessi di sé  pervasivi e costanti di non amabilità.

Sentimenti che non può più continuare a nascondere.

Fino ad un certo punto della sua vita, Rose non si pone domande.

Per comodità, per sopravvivenza, si sente “più come un’eco che come una vera partecipante.”

 Durante il suo percorso di crescita, la capacità di aprirsi all’altro, le permetterà di trasformare quel suo sentirsi diversa ed incompresa in una particolarità unica ed irripetibile: sé stessa.

 Ognuno di noi ha una molteplicità di particolarità, negative o positive, non ha importanza.

Ciò che ha importanza è la cura e l’attenzione all’altro.

 Confrontarsi con il prossimo significa, anche, entrare in contatto con sé stessi.

 Ma, affinché questa esperienza sia motivo di crescita, è necessario accogliere ed accettare la persona che si incontra nella sua diversità.

 Solo in quella diversità ci definiamo e ri-troviamo persone libere e responsabili.

 

Dr.ssa Paola Uriati

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