L’uomo grasso e la cameriera

 GRASSO (Raymond Carver)

 

Un pomeriggio due amiche si incontrano per un caffè. E, nell’occasione, una delle due racconta all’altra  un episodio accadutole alcuni giorni prima.

Un giorno era entrato un uomo nel ristorante in cui la donna lavora: pur essendo un’ora di punta il ristorante non era pieno. La donna appena lo vide rimase colpita dalle dimensioni fisiche dell’uomo: era l’uomo più grasso che lei avesse mai incontrato. Quando si era avvicinata al tavolo per prendere l’ ordinazione, la donna aveva notato meravigliata, anche le sue mani enormi e le sue dita lunghe e grosse. Gli chiese se avesse visto il menù e deciso cosa ordinare, e l’uomo le aveva risposto: ‘siamo pronti’, parlando di sé al plurale, cosa che colpì la donna.

Dopo aver preso le ordinazioni la donna era entrata in cucina per passarle a Rudy, il suo compagno. Prese del pane e del burro, come ordinato, e mentre usciva dalla cucina una collega le chiese, con tono sarcastico, chi fosse il suo amico ‘grassone’.

L’uomo iniziò a mangiare il pane imburrato e si complimentò per quanto fosse soffice. Presa dalla curiosità la donna a quel punto gli chiese da dove venisse visto che non l’aveva mai visto da quelle parti. ‘Denver…’ lui rispose.

Appena portato al tavolo la zuppa si accorse che il pane era già finito e velocemente si diresse in cucina a prenderne dell’altro.  Tornata al tavolo lui le disse: “non mangiamo sempre così”, continuando a parlarsi al plurale, e si scusò. La donna gli rispose che per lei era un piacere vedere qualcuno  mangiare di tutto gusto. Dopo la zuppa seguirono le costolette d’agnello con le patate e la panna acida.

Ogni volta che la donna entrava o usciva dalla cucina sentiva i colleghi sbeffeggiare l’uomo con queste parole: “uomo- cannone” “palla di lardo…”

Nel frattempo la sala si era svuotata, c’era solo l’uomo che stava per ordinare il dessert.  Rudy  si tolse il cappello ansimando, segno che era ansioso di tornarsene a casa.

Finito di preparare il gelato, la donna tornò al tavolo per servirglielo, e  l’uomo la ringraziò per il suo comportamento così attento e premuroso. E fu proprio in quel momento  che la donna iniziò a provare, inaspettatamente, un senso di tenerezza. A quel punto il signore grasso le confidò di non aver mangiato sempre così, dipendesse da lui si sarebbe ben guardato dal prendere altri chili, “ma non abbiamo scelta” aggiunse. Quindi riprese il cucchiaio e ricominciò a mangiare. Una volta finito l’uomo andò via, e anche lei e Rudy tornarono a casa.

Prima di coricarsi preparò del tè e Rudy riprese a commentare quanto  fosse ‘ciccione’ l’uomo e le raccontò in maniera divertita di due ragazzini della sua adolescenza, fisicamente molto grassi che venivano soprannominati ‘Ciccio e Bombolo’. Tutto il quartiere li prendeva in giro, eccetto i professori, e lui si rammaricava di non avere più le loro foto.

Quella notte mentre Rudy dormiva, nella donna emerse una nuova consapevolezza dell’uomo che aveva al suo fianco, che non riconosce più come l’uomo che fino a quel momento aveva amato.

Alla fine del racconto l’amica, che l’aveva ascoltata distrattamente, tutta presa a sistemarsi i capelli, le risponde di aver trovato la storia interessante e buffa. A quel punto la donna realizza che anche l’amica non ha compreso il senso del racconto, e viene colta da un moto di tristezza.

Siamo in agosto. La donna avverte che la sua vita presto sarebbe cambiata.

L’incontro con quello strano avventore, così perso nel suo corpo opulento, che viveva come una prigione di grasso da cui non riusciva a liberarsi, suscita nella donna sentimenti di tenerezza e di curiosità. E le sembra di percepire nell’uomo un profondo senso di solitudine e rassegnazione. E questa cosa la turba profondamente.

Così come si sente turbata dai commenti insensibili e vuoti del personale del ristorante, dalle critiche sarcastiche e superficiali delle sue amiche. Giudizi e commenti privi di compassione e di comprensione per la dolorosa diversità dell’altro. E in questo turbamento prende consapevolezza della mediocrità e superficialità del suo compagno, dei suoi pregiudizi ciechi che non   gli consentono di ‘vedere’ la persona in maniera meno superficiale di come poteva burlarsi dei coetanei  ‘ciccioni’ nella sua adolescenza. Schiavo delle etichette e degli stereotopi, l’uomo è condannano a vivere in un mondo arido, un luogo in cui non c’è spazio per il ‘diverso’. Un mondo in cui, non essendo contemplata la diversità, diventa inevitabile la solitudine.

E in questo mondo la donna inizia a sentirsi a disagio e a non riconoscersi più.

Magri, muscolosi, corpi perfetti: sempre più, oggi, la società ci orienta a seguire criteri estetici restrittivi e perfezionistici, fatti di bellezze ideali e modelli ipersalutistici. Ma in questo affannarci cosa o chi stiamo cercando? Dipende dall’adeguarsi a questi criteri se ci sentiamo più desiderati o accettati da parte degli altri? E se non riusciamo ad adeguarci siamo condannati ad una inaccettabile solitudine? 

Chi non rientra in certi criteri – perché grasso,  magro, basso, alto, calvo, foruncoloso… – come si ritroverà a vivere le proprie distanze dai parametri e dai canoni estetici attesi? Distanze che sono concretizzate da sguardi di disapprovazione e da prese in giro. Come se il monopolio dell’ attenzione sulla forma fisica e i canoni estetici,  impedisse  di far andare lo sguardo oltre. Ed ecco che quello sguardo diventa limitato e limitante. Sono sguardi che non riescono a dialogare con le maglie dell’interiorità dell’altro e di sé stessi. Sguardi distanti e pieni di solitudine che non incontrano mai l’altro nella sua diversità e  storia. Perché di questo si tratta: di storie e di persone che, ogni giorno, si confrontano con le esperienze della vita. Esperienze, che a volte dolorose e inevitabili, possono mutare in maniera inesorabile il rapporto con il proprio corpo.

E se provassimo, se ci sforzassimo qualche volta, ad avere uno sguardo più sereno e benevolo verso ciò che più ci infastidisce, proprio verso quelle cose che meno riusciamo a tollerare? E se questo potesse servirci per uscire, ogni tanto, dai nostri usuali e rigidi schemi?

L’incontro con la diversità degli altri ci permette di ampliare le nostre prospettive del mondo e di noi stessi, ci aiuta ad evitare le trappole dell’apparenza. Può trasformare i nostri corpi senza desiderio, ormai ‘drogati’ nel rincorrere riconoscimenti estetici,  in corpi più ‘emozionati’, maggiormente attenti a bisogni ed a valori, che siano propri o altrui.

Come alla donna del racconto: quel corpo ‘grasso’, fino a quel momento oggetto di critiche e prese in giro, ad un certo punto, improvvisamente, prende voce e le svela di lei, di quanto il suo mondo di relazioni, amicali e sentimentali, fosse stato sino ad allora superficiale. E grazie a quell’incontro che la sua paura si trasforma in coraggio, coraggio di cambiare la propria vita.

 

Dr.ssa Paola Uriati

 

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