‘Ragazze. Sette fiabe’ (Annet Schaap)
La ragazza aveva accolto il ranocchio nella sua casa, dal giorno in cui le cadde la palla d’oro in uno stagno e lui l’aiutò a recuperarla. Da quel momento il ranocchio venne accolto in famiglia e i due diventarono inseparabili. Mangiavano nello stesso piatto e dormivano insieme.
All’inizio la ragazza si teneva a distanza dal ranocchio, preoccupata del suo essere viscido. Ma una notte rotolarono l’uno verso l’altro e la ragazza, a quel punto, prese coraggio e lo baciò, aspettandosi di vederlo diventare un principe. Ma il ranocchio non cambiò. “Forse perché è la prima volta” gracidò il ranocchio. “Forse lo devi fare con più amorevolezza” insistette, e lei ci riprovò desiderandolo davvero. Tuttavia non accadde nulla.
Nei giorni seguenti il ranocchio ebbe la sensazione che qualcosa stesse cambiando, ma la ragazza non riusciva a vedere alcun cambiamento: rimaneva sempre un ranocchio! “Eppure me lo aveva promesso…” disse un giorno la ragazza alla madre, “ma gli uomini promettono tante cose” rispose la madre. Quindi le suggerì di rivolgersi alla zia, sicuramente lei le avrebbe dato dei buoni consigli.
E la zia le disse che in fondo un ranocchio rimaneva sempre un ranocchio, difficilmente si sarebbe trasformato in un principe. A quel punto, la zia le chiese se avesse mai incontrato un principe in carne ed ossa. No, non l’aveva mai incontrato. Allora sarebbe stato meglio andarsene un po’ in giro per il mondo a cercare di incontrarne qualcuno.
La mattina seguente la ragazza preparò il suo borsone, prese la sua palla d’oro, baciò il ranocchio e andò via da casa. Camminando per le strade della città si guardava bene attorno.
Davanti agli uomini tirava dritto, e se qualcuno la incuriosiva faceva cadere la palla. Ma nulla, la maggior parte dei ‘principi’ non faceva neanche caso alla palla, presi dai propri affari o immersi nei propri cellulari. Qualcuno si fermò, le ripose la palla ma scomparve subito dopo. Qualcuno si fermò a giocare un po’ con la sua palla, ma dopo poco si allontanò incurante. A quel punto la ragazza sempre più frustrata diede un calcio talmente forte alla palla che sparì nel traffico. Quindi, affranta e delusa, si sedette su una scalinata, quando ad un tratto le si avvicinò un giovane che le riportava la sua palla.
La giovane fu subito colpita da quel ‘principe’, gentile nei modi, dai bei lineamenti e dalla voce calda.
Lui la invitò a prendere un caffè, sembrava entusiasta della nuova conoscenza, l’atmosfera sembrava idilliaca: una bella e giovane coppia che sorseggia il caffè in un bar del centro. “Anche i biscotti sono ottimi…” disse la ragazza mentre li sgranocchiava. Ma il giovane con voce severa le rispose che lui non mangiava dolci e che anche lei avrebbe dovuto tenere di più alla sua linea.
Poi le suggerì di sciogliersi i capelli, aveva dei capelli bellissimi e non doveva tenerli legati, così ad un tratto le tolse il fermaglio. Lei li sistemò al meglio, ed il giovane ‘principe’ continuò dicendole che avrebbe dovuto tagliarli e sfoltire le sopracciglia, “ci voleva così poco per essere ancora più bella…”. Aggiunse che l’avrebbe portata dal suo parrucchiere e comprato un vestito nuovo…
All’improvviso alla ragazza venne in mente il suo ranocchio, ebbe un momento di nostalgia, sentiva che le mancava. Inventò una scusa , lo salutò in tutta fretta e si diresse verso casa. Appena rientrata il ranocchio le saltò sul gomito, si mostrava felice di rivederla. Dopo cena avrebbe riprovato a ‘baciarlo’.
L’incontro tra la ragazza e il ranocchio è di quelli da favola, i due in poco tempo diventano inseparabili, e l’affetto ricambiato per la bestiola alimenta le aspettative nella giovane che all’improvviso il rospo si trasformi in principe. Ma trascorrono i giorni e non accade nulla, la ragazza deve arrendersi davanti all’evidenza della vita reale.
Ma cosa ricerca con tanta tensione? Un amore… la trasformazione del suo ranocchio… sé stessa?
Desidera incontrare un ‘principe’, desidera un amore che la faccia sentire amata. Ma in realtà la giovane non ha mai conosciuto un ‘principe’, se non nella sua immaginazione. Aveva solo provato a trasformare il ranocchio in un qualcosa che esisteva solo nelle sue fantasie. E quando prova ad avventurarsi nel mondo reale incontra soltanto aspiranti ‘principi’, troppo distratti e troppo presi da sé stessi.
Realizza presto di averli idealizzati, di aver immaginato un amore cosi perfetto che, inevitabilmente, si era ridotto in frantumi al primo confronto con la realtà. E tornando a casa, a quel punto, prende consapevolezza che il ranocchio non si sarebbe mai trasformato in qualcun altro, riconquista quella serenità da tempo perduta, e si placa.
Gli amori non ‘vissuti’ sono amori sospesi. Amori immaginati, fantasticati, idealizzati. Amori che spesso parlano di solitudini, di mancanze e di assenze.
L’assenza o l’attesa di un partner perché è lontano, impegnato, distante dal nostro mondo, idealizzato o immaginato, per quanto ci faccia soffrire, a volte riempie dei vuoti.
Spazi interiori inascoltati, proprio perché la nostra attenzione è tutta rivolta verso l’esterno, verso l’altro. Un altro che vive delle nostre fantasie più accese e speranze, la cui immagine però, al primo confronto con la realtà finisce per dissolversi in un mare di delusione.
Inoltre quei vuoti spesso ci parlano delle nostre insicurezze, delle nostre ansie, di quelle paure che un possibile coinvolgimento emotivo può fa emergere: la paura dell’intimità e del confronto, la paura di venire delusi o di deludere, la paura di non sentirsi accettati, la paura di non essere amati.
Il desiderio di un amore perfetto e idealizzato può rappresentare un modo di sentirsi amati e confermati nella propria individualità. Un modo per tenere a distanza la paura del rifiuto, che si muove indisturbata in quei vuoti interiori.
Ma l’amore idealizzato è, anche, un modo di coinvolgersi con il minor rischio di rifiuto e di fallimento. Poiché maggiore è l’intimità, la vicinanza reale con l’altro, e più aumenta il rischio di sentirsi non accettati e di ripiombare nell’oscurità della solitudine da cui continuamente si fugge.
Tuttavia la solitudine rappresenta anche un’opportunità, un accesso a sé stessi occultato dalla presenza fantasticata dell’altro. Ci permette di comprendere che il procrastinare l’incontro con l’altro, in realtà parla di noi stessi, delle nostre incertezze.
Forse la paura che si nasconde dietro l’attesa che qualcosa accada, può trasformarsi in coraggio e mutarsi in ricerca. Ricerca di nuovi significati, di una maggiore determinazione nell’ affrontare cambiamenti. Solo allora saremo pronti ad accogliere l’altro, il principe/ranocchio, nella sua ‘diversità’.
Dr.ssa Paola Uriati